Di Eugène Ionesco
Con EDOARDO SIRAVO
Regia di Maurizio Scaparro
Produzione Associazione Culturale Laros
L’ultima regia del Maestro Maurizio Scaparro, Il Re muore di Eugène Ionesco, è in scena con protagonista Edoardo Siravo, e le musiche del premio Oscar Nicola Piovani. Con Isabel Russinova e con Gabriella Casali, Carlo Di Maio, Claudia Portale, Michele Ferlito.
A sessant’anni dalla prima mondiale, il testo di Ionesco risulta più attuale e necessario che mai. Al centro, un re prepotente e egocentrico che non vuole accettare il destino, di per sé ignoto e inevitabile, pretendendo di renderlo suddito come chiunque altro. Dal Teatro dell’Assurdo, passando per Beckett e Genet, lo spettacolo è una vera e propria immagine poetica della condizione umana.
Il Re muore è una commedia grottesca che, nelle intenzioni di Scaparro, vuole farci riflettere in un momento storico complicato com’è il nostro, che ha lasciato segni profondi nelle nostre coscienze.
Al suo apparire al Théàtre de l’Alliance francaise a Parigi nel dicembre 1962, Il Re muore fu salutato da una larga parte della critica come il vertice creativo di Eugène Ionesco; alcuni, anzi, non hanno esitato a inserire l’opera tra quelle più significative del teatro contemporaneo.
Il critico e studioso inglese Martin Esslin ha scritto: «La commedia di Ionesco non è un’allegoria; come la maggior parte delle commedie del Teatro dell’Assurdo, è un’immagine poetica della condizione umana, forse più semplice, più avanzata delle prime opere dello scrittore, ma anche più potente, più controllata, più classica nella forma. Si direbbe che Ionesco abbia assorbito alcune linearità formali di Beckett e alcune ritualità di Genet. Una commedia profonda e bellissima… un capolavoro della letteratura drammatica moderna.»
Lo spettacolo racconta lo spaesamento e l'affanno di un'umanità che deve fare i conti con la propria finitezza, oltre alla spasmodica e tragicomica ricerca del senso della vita e all'eterna lotta contro la caducità dell’esistenza.
Dunque, Bérenger, re prepotente e egocentrico, non vuole accettare il destino, di per sé ignoto e inevitabile, pretendendo di renderlo suddito come chiunque altro. Ma il suo regno è alla deriva, e lui che ne è alla guida è un uomo in decadimento: è malato, ma non sa che dovrà morire. Le sue due mogli, interpretate da Isabel Russinova e da Gabriella Casali, informate dal medico, interpretato da Carlo di Maio, discutono se e come informarlo. Completano il cast la serva di Claudia Portale e la guardia di Michele Ferlito. Le musiche sono del premio Oscar Nicola Piovani (il suo ultimo lavoro con Scaparro risale a La bottega del caffè di Carlo Goldoni). Le scene sono affidate ad Antonia Petrocelli, mentre i costumi sono firmati da Santuzza Calì, che ha collaborato con Scaparro anche tra cinema e lirica.
Alla fine, la notizia viene rivelata. Bérenger è incredulo, e continua a dare ordini, mentre tutto intorno si sgretola e cade a pezzi, e nessuno gli obbedisce più. Testardo e cocciuto, non intende cedere agli eventi, dal momento che non è stato lui a guidarli, e non vuole ammettere che il destino è molto più potente: è lui il vero sovrano dell’universo. Solo quando si rende conto definitivamente che i suoi poteri non lo assistono più, realizza che il suo tempo sta per scadere e acconsente che sia celebrato il rito di preparazione alla sua morte.
Lo spettacolo diretto da Scaparro si rivela una grande e vivace metafora dell’esistenza umana e della fragilità del potere, attraverso una messinscena che non dà tregua allo spettatore, con ritmi incalzanti e dialoghi sferzanti. È il dramma dell’uomo inteso come individuo, ma anche come società. Una società in disfacimento progressivo, che alla presenza di segnali della natura sempre più chiari e intensi si ostina a non di ascoltarli, a non vederli e a non agire per tempo.
In fin dei conti, però, Il Re muore è anche un inno alla vita cantato a squarciagola, una favola metafisica alla Lewis Carroll, una danza macabra frenetica, incontenibile e contagiosa, dentro un microcosmo grottesco, ma spietatamente vero, dai sentimenti tanto esagerati quanto profondamente umani.