DNA ITALIA

PRIMA DELLA SCALA
Nuova commissione in prima esecuzione mondiale
Musica di Federico Gon
Libretto di Stefano Valanzuolo

LA SCALA DI SETA
Musica di Gioachino Rossini
Libretto di Giuseppe Maria Foppa

Direttore Francesco Pasqualetti
Regia Deda Cristina Colonna
Scene e Costumi Matteo Capobianco
Assistente ai Costumi Silvia Lumes
Luci Ivan Pastrovicchio

Zabatta/Dormont Davide Lando
Nina/Giulia Alina Tkachuk (9,11)/Francesca Idini (10)
Ezio/Dorvil Michele Angelini (9,11)/Paolo Nevi (10)
Lucilla Yo Otahara (9,11)/Elena Malakhovskaya - Accademia AMO (10)
Silvano/Blansac Dogukan Ozkan (9,11)/Omar Cepparolli (10)
Germano Emmanuel Franco (9,11)/Matteo Mollica (10)
Orchestra Filarmonica Italiana

Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia

Il vecchio Zabatta, proprietario del circo omonimo, è morto. In scena vediamo la bara e i suoi fedeli dipendenti, tutt’intorno, che lo piangono inconsolabili. Del gruppo dolente fanno parte anche i tre protagonisti del racconto: l’equilibrista Ezio, l’illusionista Silvano e la sua assistente-fidanzata Nina (sulla quale Ezio ha delle mire).
Finito il compianto, tutti escono. Resta in scena solo l'illusionista, che svela i propri piani. È convinto che il vecchio Zabatta (di cui in realtà dice peste e corna) abbia lasciato i propri averi e la proprietà del circo all'equilibrista Ezio, suo galoppino tuttofare; per questo, sta meditando di ucciderlo e prendere le redini del circo.
Rientra Nina. I due, per quanto segretamente, hanno una relazione. Silvano dichiara alla ragazza le proprie intenzioni criminose; lei ha qualche perplessità iniziale, ma cede subito e si rende complice del piano, attratta dalla prospettiva di diventare ricca. Silvano svela dunque il piano a Nina: ipnotizzerà Ezio e lo costringerà, in trance, a calarsi da quella casa attraverso una scala (una scala molto fragile, tutta di seta) che lei stessa provvederà a calare dalla finestra. Dopo di che, con un cenno, l’illusionista imporrà a Ezio di lasciarsi cadere di sotto: trattandosi di un equilibrista, si penserà a un incidente sul lavoro, e nessuno sospetterà.
Nina si avvia a calare la scala. Ma è raggiunta da Ezio, il quale si comporta già da padrone prepotente e arrogante, avvalorando i sospetti di Silvano sulle ultime volontà di Zabatta. Adesso in scena sono in tre e mente Nina si mostra mielosa e smorfiosa, un po’ per stare al gioco un po’ perché comincia a credere che le convenga essere gentile con l‘erede universale, Ezio, non accortosi della presenza di Silvano, fa il galante con lei.
Stanco e geloso, Silvano avvia senza indugi l’esperimento di ipnosi. Poco prima che Ezio salga sulla scala, però, si ode una voce dalla bara (fuori scena)... È la voce di Zabatta dall' aldilà che accusa i suoi tre dipendenti di non essere degni di succedergli... Nel terrore generale, Zabatta entra in scena e svela l'arcano: la bara è vuota e lui ha inscenato tutto per capire se e di chi potesse fidarsi. Deluso dall’avidità dei suoi dipendenti, Zabatta vende il circo agli americani e cambia mestiere: d’ora in poi farà l'impresario teatrale! E per cominciare, visto che c’è una scala già approntata, metterà in scena “La scala di seta”. Offrendo, controvoglia, un’ultima chance ai suoi malfidati dipendenti.
Provare a giocare con Rossini sul comune terreno del comico è, per usare un eufemismo, una 'mission impossible', troppo grande il genio del Pesarese.
Io e il librettista Stefano Valanzuolo abbiamo quindi immaginato una vicenda che potesse fungere da antecedente alla trama che Foppa confezionò in quel 1812 per il giovane Rossini, senza andare a toccare la drammaturgia originaria ma, al contrario, aumentandone i potenziali significati.
Per quanto riguarda la musica poi, come dire, "non sum dignus": Rossini è stato non solo il maggior genio comico di ogni tempo assieme a Mozart, ma fu vera e propria pietra di paragone per tutti i compositori a lui contemporanei e delle generazioni successive anche nel serio e, generalmente, nell'innervatura stessa del vocabolario dell'opera italiana dell'Ottocento. Anche solo pensare di potersi avvicinare a lui sarebbe un peccato di presunzione. Il che, tuttavia, non significa che la musica non sia ben fatta, divertente e coinvolgente per lo spettatore al quale, a contrario, sono riservate piacevoli sorprese.
Federico Gon
Non è facile confrontarsi con Rossini, né per un compositore né per un librettista. E, infatti, il confronto in questo caso è meticolosamente eluso, ché la lotta sarebbe impari. “Prima della scala” nasce semplicemente come prologo possibile (e non necessario) al più celebre lavoro rossiniano. Il titolo, dunque, si limita a fornire soltanto indicazioni sulla sequenza con cui i due atti unici si succedono in scena, e la “scala” evocata - si capisce - non è quella del Piermarini, ma la stessa utilizzata da Rossini, morbida come seta. Riferimento meno allusivo e poetico, insomma, ma concreto e tangibile.
Come in un gioco di scatole cinesi, qui il pubblico viene invitato a passare da una vicenda all’altra, senza soluzione di continuità. I personaggi che animano le due storie non combaciano puntualmente, tant’è vero che hanno nomi diversi; ma gli interpreti sì. Così che ognuno potrà divertirsi a collegare i protagonisti di “Prima della scala” a quelli de “La scala di seta” (absit iniuria verbis…), al netto di istruzioni per l’uso che – com’è noto – non sono indispensabili per godere di musica e teatro.
L’ambientazione scelta per “Prima della scala” rimanda al mondo del circo, che da sempre esercita un fascino inossidabile sul pubblico, oltre ad avere ispirato schiere di registi e sin anche di compositori. Nel microcosmo di una piccola compagnia di strada possono sbocciare passioni, amori, rivalità e conflitti dagli esiti malsani (si chieda a Leoncavallo, per ogni informazione a riguardo) o, come nel nostro caso, semplicemente paradossali e scherzosi. Il circo, non diversamente dalla musica di Rossini, stavolta offre unicamente uno spunto, diciamo anche un pretesto nobilissimo per giocare con gli eterni schemi del teatro e dell’opera, che includono triangoli, gelosie e sberleffi. Tra le pieghe di questo piccolo testo farsesco, umilmente posto al servizio del nume tutelare della farsa in musica, non sarebbe difficile cogliere l’eco insinuante di altri titoli e altri artisti: da Fellini a Chaplin, da “Pagliacci” a “Gianni Schicchi”, il cui beffardo sarcasmo emerge dalla citazione di una improbabile veglia funebre.
Ma sono tutte, come si vede, pietre di paragone (Rossini ci perdonerà anche questa) sproporzionate rispetto al piccolo sforzo prodotto con “Prima della scala”, che resta un divertissement all’interno di un progetto più ampio e a supporto di un capolavoro assodato. Si dice che chi va con lo zoppo impari a zoppicare… Chissà se vale anche il contrario e se stare al fianco di Rossini, almeno idealmente e per una volta, possa giovare al morale, all’estro e – perché no – alla gloria di noi autori mortali. Sarebbe un bel colpo!
Stefano Valanzuolo
In Prima della Scala ci troviamo immersi nella rappresentazione stilizzata di un circo reale. Nella velocità dell’intreccio, la bassezza di personaggi arraffoni, prevaricatori ed egoisti si stempera finché nel finale l’umanità fallace offre a sé stessa una seconda possibilità.
Zabatta mette in scena un esperimento per sondare i sentimenti dei suoi dipendenti-successori e decidere se affidare loro le sorti del suo circo. Al disgregarsi suggerito dall’inconsistenza dei sentimenti di coloro che pur lo chiamano ‘genitore’ e che lui stesso definisce ‘figli’, preferisce la seduzione della rinascita, dell’acrobatico tentativo di riscattarsi nella messa in scena de La Scala di Seta.
Nel contesto della farsa rossiniana il circo invece diventa la metafora che contiene la struttura acrobatica delle relazioni tra i personaggi, una rete credibile solo nell’illusione e per questo capace di farci riflettere. ‘Cerco una bella, e due qui ne ritrovo!’ esclama Blansac – quasi come un prestigiatore che si compiaccia della riuscita di un trucco - all’inizio della scena decima. Giunto a Parigi per sposare Giulia, promessagli dal tutore Dormont, Blansac approfitta di un incontro casuale per corteggiare la di lei cugina Lucilla, risvegliando nella ragazza gli ardori giovanili. Nella casa di Dormont la vita scorre immancabilmente sotto gli occhi di osservatori nascosti, tra menzogne ed astuzia, ingenuità e pragmatismo. Ciò che nella vita reale indurrebbe dubbi esistenziali, nella farsa genera una specie di prisma attraverso il quale l’uomo osserva sé stesso ridendo e così percepisce i propri limiti.
Mentre nella nostra tormentata attualità il mondo lancia grida di allarme, nella leggerezza di queste proposte teatrali si cela un messaggio di speranza: il possibile manifestarsi del bello nell’inattesa acrobazia che alla fine mette tutti d’accordo.
Deda Cristina Colonna