musiche suonate dal vivo da Marco Castelli

Produzione AMACA

Raul Cremona presenta il suo spettacolo, accompagnato al pianoforte da Marco Castelli, dove propone un viaggio surreale nella sua lunghissima memoria artistica, durante il quale si fanno incontri bizzarri: Jacopo Ortis dall’eloquio comicamente gassmaniano, che nasce da quell’infanzia spesa fra una partita all’oratorio e una serata al cinema Arena dove veniva proiettato “Il mattatore” o “I mostri”; Silvano il mago di Milano, immagine distorta del più grande prestigiatore italiano, specchio del primo amore adolescenziale dell’artista; e che dire dell’intollerante e milanesissimo Omen che Raul bambino ha imparato a conoscere in una Milano che non c’è più? Nel corso dello spettacolo Raul Cremona, con disincanto e un pizzico di nostalgia, ci regala un giro in giostra, a tratti vorticoso, a tratti poetico, riconfermandosi quel cantastorie che, con grande originalità, si serve della magia come arte della narrazione in chiave comica. Magia, prestidigitazione, giochi di parole, musica, gag, personaggi, ecco le dominanti di questo spettacolo che tra i suoi riferimenti musicali può vantare la splendida inattualità di artisti come Kramer, Arigliano e il Quartetto Cetra.
Raul Cremona non appartiene né al passato né al presente. Come nei “gabinetti proteici” degli illusionisti “fin de siecle”, è capace di sparire e riapparire da una all’altra delle eterne ed effimere componenti di cui è fatto il palcoscenico: luce, canto, macchiette, legno, tela, voce, costumi, gesti, polvere, sguardi, angolazioni, carte truccate, barzellette, cerone, passi di danza, sgabelli da pianoforte e “gustosissime gags”. Tutte cose che, appunto, non appartengono né al passato né al presente. Il disordine e la complessità di tutto questo “maraviglioso” possono essere domate con una sola bacchetta magica: il mestiere. Il mestiere di Raul non si impara all’università né sulla settimana enigmistica, ma giorno per giorno; e solo dopo averlo assorbito per anni ci si accorge che è fatto di mille mestieri alla volta. Raul toglie allegramente la polvere, anche se non il rimpianto, da un mondo in cui il comico era “grande” non per fare “satira” ma perché divideva il palcoscenico con mostri del varietà, del teatro, della magia, del circo o della musica popolare. Un mestiere per cui un tempo l’artista partiva dalle piazze o dalle platee chiassose del divertimento popolare, arrivava al teatro e solo alla fine, dopo decenni, in televisione. Oggi accade il contrario, ma senza il mestiere. Non per questo Raul non vive il proprio tempo: il bello è infatti che i suoi personaggi sono maschere dello stesso mondo in cui vive il suo pubblico. Ma, così come le maschere della Commedia dell’Arte scavano nel corpo e nell’anima dell’attore che dà loro vita, quelle di Raul scavano nei mestieri del passato per rivelare il grottesco del presente. È probabile che queste righe gli montino la testa: ma come può esistere un mago senza megalomania? Raul Cremona, figlio di un imbonitore e nipote di un clown musicale, ha nel sangue l’egocentrismo di chi per vivere deve formare capannelli di gente nelle piazze del mondo, col caldo o con la pioggia, per far girare in eterno le tre carte, e motivare l’offerta nel piattino dell’assistente con la fisarmonica. Nell’italietta in cui l’arte antica della maschera è sopraffatta da schiere di “battuttisti”, c’è bisogno di Raul Cremona e del suo virtuosismo antico.
Raffaele De Ritis