Musica di GIOACHINO ROSSINI
Libretto di Felice Romani
Edizione della Fondazione Rossini in collaborazione con Casa Ricordi, a cura di di Margaret Bent

Selim Simone Alberghini
Fiorilla Elena Galitskaya
Don Geronio Giulio Mastrototaro
Don Narciso Francisco Brito
Prosdocino Daniele Terenzi
Zaida Paola Gardina
Albazar Antonio Garés

Maestro concertatore e Direttore d’orchestra Hossein Pishkar
Regia Roberto Catalano
Scene Guido Buganza
Costumi Ilaria Ariemme
Coreografie Marco Caudera
Luci Oscar Frosio

Orchestra Luigi Cherubini

Coro Lirico Veneto

Maestro del coro Alberto Pelosin
Maestro al Fortepiano Gerardo Felisatti

Nuovo allestimento Coproduzione con Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Dante Alighieri di Ravenna, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Teatro Amintore Galli di Rimini, Teatro Verdi di Pisa.

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Nell’analizzare il libretto di Felice Romani, ci si imbatte di continuo in situazioni che sono espressione del desiderio, spinto sino ai limiti della necessità, di acquistare qualcosa che ancora non si possiede. Infatti, constatazioni come “non si da follia maggiore dell’amare un solo oggetto”, o frasi come “se Fiorilla di vender bramate io la compro”, e ancora “cento donne intorno avete le comprate e le vendete” ricorrono sparse lungo tutta la narrazione. Proprio Fiorilla, il personaggio che nell’opera sembra non accontentarsi di ciò che ha, è colei che desidera tutto quello che sa essere desiderabile per gli altri. Ciò che la orienta verso l’oggetto desiderato non è scaturito da una volontà autentica, da un movimento interiore. Se la domanda cresce e quel bene diventa raro, Fiorilla lo rincorre. Perchè lei non sa cosa vuole ma certamente sa di voler possedere ciò che gli altri non hanno. Vittima di un processo di accumulo che la fa muovere curiosa e vorace, Fiorilla non compie mai adulterio ma ci si dirige contro, per necessità di libertà, per divertimento, per slancio vitale verso una vita che lei desidera stimolante e sempre nuova. In lei risiede la morale dell’opera che, coerentemente con lo spirito del tempo, prevede che gli uomini la “aggiustino”, correggendone la traiettoria e riportandola al ruolo di moglie fedele. La necessità è stata quella di intercettare nel suo ruolo, il tratto universale di un’umanità vittima di stimoli costanti, per cercare di dare al suo personaggio non l’accezione dell’essere umano “guasto” che va aggiustato, ma quella di una vittima perfetta, sulla cui fragilità è possibile lucrare. Ecco perché, in questa drammaturgia, il personaggio del Poeta, a caccia della sua storia da scrivere “sfruttando” le vite degli altri, vestirà i panni di un creativo senza scrupoli che, facendo leva sulle debolezze dell’umanità, promuoverà e venderà sentimenti come fossero prodotti, orientando di fatto le scelte dei personaggi, dando loro l’impressione di vivere da persone libere nel migliore dei mondi possibili. In questa storia, l’amore si vende e si compra come il vino e il caffè e gli esseri umani, esattamente come accade alle cose, si vendono e si comprano a vicenda. Una serie di umani-prodotti con lo sguardo e la mente costantemente offuscati dalla luce potente e rassicurante di spot confezionati come promesse di felicità e futuro; un’umanità che vive in un mondo dove la pubblicità è talmente diffusa e infiltrata nel quotidiano da aver intaccato la realtà autentica, penetrando nel fondo di ciascuno, artigliando l’attenzione, dirottandola su dove si vuole che vada. E Fiorilla è dunque la vittima perfetta di questo sistema. Colei verso cui la macchina della creazione del desiderio è sempre efficace perché la spinge costantemente ad acquistare tutto quello che le si vende, in un mercato di sentimenti dove non ci sono più linee di confine fra oggetti e persone. Questi sentimenti che lei e gli altri personaggi provano sono soltanto gli ennesimi prodotti da consumare. Oggetti tra gli oggetti. In questa storia nessuno, a parte Zaida e il suo amore per Selim, prova autenticamente qualcosa. Ma Fiorilla è anche colei che in prossimità della fine dell’opera vivrà come una rivelazione, un risveglio che la indurrà a liberarsi di tutto ciò che per una vita intera ha accumulato: “Vani ornamenti, che fate meco omai! Itene tutti, itene sparsi a terra; io vi calpesto, cagioni de miei falli, e vi detesto”. È di fatto una liberazione che pagherà al prezzo della rivelazione del vuoto che porta dentro. Senza quegli oggetti, senza l’idea di possedere sentimenti e persone, l’io di Fiorilla non esiste. Il poeta, come un occhio costantemente aperto su tutto, traccia le linee per il finale del suo dramma. Fiorilla, nel mezzo del vuoto sopraggiunto, torna con la mente alla casa della sua infanzia che l’attende, come se regredisse al tempo in cui qualcosa di autentico c’era. Poi si riappacificherà col marito, entrambi apparentemente rinsaviti e ancorati a un’immagine terrena che sa di verità e rinascita. Ma gli occhi di tutti, velati di commozione per la gioia di un lieto fine, verranno attratti dall’accattivante pubblicità di qualcosa che non possiedono. Un nuovo desiderio sta nascendo. Il gioco ricomincia.
Roberto Catalano