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C’ERA DUE VOLTE IL BARONE LAMBERTO
Opera per tutta la Famiglia liberamente ispirata all’omonimo libro di Gianni Rodari
Musica di ALBERTO CARA (vincitore CompositoriAllOpera 2018)
Libretto di Alberto Mattioli

Il Barone Lamberto Marco Bussi
La Voce, Deborah, Delfina Eleonora Filipponi
Ottavio, Primo Bandito Davide Lando
Il Santone, Secondo Bandito, Il Giornalista Alberto Yuri Guerra
Anselmo Haruo Kawakami

Direttore Marco Alibrando
Regia, scene e video Gianmaria Aliverta
Assistente alle scene Francesca Donati
Costumi Sara Marcucci
Luci Ivan Pastrovicchio

Civica Orchestra di Fiati di Milano
Nuova Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara, in collaborazione con Civica Orchestra di Fiati di Milano, e VoceAllopera Commissionata da VoceAllOpera tramite il concorso Internazionale CompositoriAllOpera 2018

Main Sponsor Esso Italiana

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Prologo
Il barone Lamberto, vecchio ricco e malato, ed Anselmo, suo maggiordomo, in viaggio nei paesi dell’oriente, incontrano un santone. Questi rivela ai due che il segreto dell’eterna salute risiede nel potere magico del nome: finché il nome di Lamberto risuonerà, il barone resterà in vita, sano come un pesce.
Cambio scena (prosecuzione del prologo)
Pubblicità di Vox populi, servizio di voce a domicilio trecentosessantacinque giorni l’anno, sette giorni su sette, ventiquattr’ore su ventiquattro. Anselmo telefona a Vox populi per assicurarsi il servizio di una voce che pronunci il nome Lamberto!

Scena I.
Nella villa del barone risuona il nome Lamberto! Il barone, ringiovanito e in perfetta forma fisica, si fa rammentare l’agenda da Anselmo. Afferma di essersi innamorato della Voce, e chiede ad Anselmo di contattare Vox populi perché non può fare a meno di conoscerla.
Entrano due banditi: il barone è sotto sequestro, e farà bene a scrivere ai ventiquattro direttori delle sue ventiquattro banche di versare un milione ciascuno ai banditi, altrimenti è un uomo morto. Il barone, con molto aplomb (è praticamente immortale!), lascia ad Anselmo l’incombenza di scrivere la lettera.
I malfattori dettano al famulo un testo scombiccherato, che questi prontamente corregge con saccenza. I banditi, da lui irritati, lo picchiano selvaggiamente.

Scena II.
Nell’appartamento di Ottavio (nipote del barone), è in corso una lite tra questi e la sua fidanzata, Deborah. La povera ragazza si sente raggirata e sfruttata da quel malannaccio di Ottavio, dedito al gioco, all’alcool e ad altre sostanze decisamente illecite. Ottavio esce sbattendo la porta. Deborah si commisera. Torna Ottavio, il quale riporta l’ordine in casa, un ordine decisamente svantaggioso per Deborah; poi, blandisce la fidanzata dicendo che avrebbe fatto visita al caro zietto fantamiliardario…

Intermezzo: pantomima del terribile Ottavio.

Scena III.
Notte. Un bandito davanti alla camera da letto del barone Lamberto.
Entra Ottavio. Dialogo tra i due, per capire la situazione. Ottavio manifesta l’intenzione di uccidere il barone con un’esplosione mirata. Morto lo zio, Ottavio eredita tutto, e lui e il bandito fanno ai mezzi: altro che ventiquattro miliardi! E gli altri banditi: gabbati! Accordo tra i due. Esplosione fuori controllo e fuga di tutti e due, che si maledicono a vicenda.

Scena IV.
Il barone, vivo per merito della voce che lo rende immortale, è di nuovo in piena attività, e impartisce ordini ad Anselmo. Chiede ad Anselmo se ha chiamato la Voce. Anselmo risponde che l’avrebbe chiamata subito. Entra Delfina. È lei la voce di “Vox populi”. Non appena apre bocca, il barone la riconosce. Cade ai suoi piedi. Le chiede di sposarlo. Lei rifiuta. È venuta per avvisarlo che si è licenziata e il servizio terminerà: non ce la fa più a pronunciare “Lamberto”, in continuazione. Non lo sposerà mai. Il servizio di Vox populi termina. Il barone si accascia al suolo. Delfina (fredda, beffarda): “Muore d’amore?”. Anselmo: “No, non pronunciando più il suo nome, lei lo ha ucciso”.

Scena V.
Funerali pubblici di Lamberto. Anselmo, Ottavio, e Delfina piangono il defunto, ripetendone il nome. In mezzo alla sala c’è un anchorman che fa la telecronaca del funerale di Lamberto.
Nel frattempo l’anchorman si avvicina al palco e intervista Anselmo, Ottavio e Delfina. I due lodano il defunto, e intanto il suo nome viene pronunciato sempre più frequentemente. Ad un certo punto, evocato dalla continua pronuncia, Lamberto esce dal feretro.
Lamberto è rinato grazie alla continua pronuncia del suo nome, ma ora, a causa della potenza dell’incantesimo, il tempo è tornato troppo indietro, e Lamberto è un bambino maleducatissimo (in realtà è vestito da bambino, ma è sempre lui, e canta in falsetto). Maltratta Anselmo, dandogli del “vecchio catarroso”, annuncia ad Ottavio di averlo diseredato e fa a costui più volte il gesto dell’ombrello, spara petardi sulla folla e, da ultimo, si mostra molto villano con Delfina. Tutti scappano, disperati, chi per un motivo, chi per l’altro. Solo Delfina rimane, ad affrontare il piccolo mostro. Inizia a pronunciare il suo nome, sempre più forte, sempre più veloce, mette Lamberto all’angolo, lo incalza. Si aggiungono anche gli altri:

Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto… Lamberto…

Finché Lamberto, bambino, è neonato, è in mente Dei, non è più. Buio..
“C’era due volte il Barone Lamberto è un lavoro piuttosto insolito per il suo autore: è una storia in cui apparentemente (solo apparentemente) la pedagogia entra poco, e in cui è difficile trovare una morale. Resta tutto in superficie, come il disegno di una nuvola di fumo, impossibile da afferrare.
Eppure il contenuto drammaturgico di questo divertissement mi pare concreto ed evidente: i personaggi, stereotipi nella forma, acquistano realtà e corpo nella scrittura, il tutto condito con quella sottile ambiguità che forse è irrinunciabile in una storia da mettere in musica, perché la musica necessita di non detti, di zone d’ombra narrative in cui intrufolarsi con lo scopo di schiarire oppure, se serve, di accentuare il senso di incertezza. E quindi: Lamberto, il Barone, è veramente innamorato della Voce? Oppure si tratta del capriccio di un “uomo che non deve chiedere mai”? E il maggiordomo Anselmo? Il suo comportamento è dettato da un’”etica del servizio”, oppure da un servilismo vile? I banditi sono cattivi o semplicemente stupidi? Ognuno si muove tra ipocrisia e verità, tra calcolo e sentimento, e mi pare che la cifra del racconto sia proprio questa: la voglia di confondere le acque; di non essere, come sempre accade a questo autore nelle opere apertamente dedicate ai bambini, giustamente schierato dalla parte del bene. Sembra che Rodari ci dica: “è così che va il mondo, signori, e badate bene: vi sto svelando una verità nascosta, fatti che sembrano incredibili, ma che non lo sono”. E cosa sarebbe (e qui torno all’inizio del mio discorso) questa volontà di disvelamento, se non un’intenzione pedagogica, anche se nascosta nelle pieghe dell’assurdo? Una pedagogia per grandi e, forse per questo, priva di quella speranza dolce e allegra che l’autore manifesta apertamente quando si rivolge ai bambini: il racconto della vita così com’è, assurdo eppure vero, che abbatte la retorica e mette a nudo la dialettica dei sentimenti, dei desideri, e delle azioni che essi muovono. Avarizia, rapacità, amore, tenerezza, fedeltà, calcolo, morte, rinascita, mistero. C’è un po’ di tutto questo, dentro Lamberto!
Il libretto di Alberto Mattioli restituisce una lettura polisemica della storia, sospeso tra il registro sornione della commedia leggera e un realismo a tratti anche crudo; quanto a me e alla mia musica, cerchiamo di pattinare tra personaggi e situazioni godendo di questa pluralità, di guidare l’azione scivolando tra i vari livelli del dramma in modo fluido, e di trasformare gradualmente la commedia in tragedia, e viceversa”.
Alberto Cara
“Scrivere libretti d’opera è anche un buon modo per ampliare le proprie conoscenze letterarie. Lo ammetto: quando Gianmaria Aliverta mi chiese se mi sarebbe piaciuto trasformare C’era due volte il Barone Lamberto, ovvero I misteri dell’isola di San Giulio in un’opera lirica, dovetti ammettere di non averlo mai letto. Fu una rivelazione, forse anche una folgorazione. Arrivavo buon ultimo, per la verità, perché questo romanzo breve per ragazzi, pubblicato nel 1978, aveva ottenuto un grande successo di pubblico ed era stato tradotto in undici lingue. Lo lessi, unendo l’utile librettistico al dilettevole letterario e ad altro dilettevole ulteriore, perché mi servii dell’edizione illustrata da Francesco Altan, il cui tratto surreale e ironico si sposa benissimo a quello di Rodari. Il quale è uno di quei narratori che sono drammaturghi anche se non scrivono per il teatro. Non sta a me dire se il lavoro sia riuscito; di certo, è stato piacevolissimo e infatti è stato compiuto di getto. Poi varie vicissitudini legate alla pandemia ci si sono messe di mezzo, sicché la scrittura dell’opera è stata interrotta e poi ripresa: ma ogni volta che lo riprendevo in mano, C’era due volte il Barone Lamberto restava di un’inalterabile freschezza. Ho avuto poi la fortuna di lavorare con Alberto Cara, che è il genere di musicista con cui ogni librettista sogna di collaborare: ha un grande istinto teatrale (essere un buon musicista è la condizione necessaria ma non sufficiente per essere un buon operista), chiede pochi cambiamenti, e spesso li abbozza lui in una maniera già quasi definitiva. Adesso l’opera debutta al Teatro Coccia di Novara, cui sono affezionato perché ha già offerto un’occasione a due altri miei libretti: La paura per Orazio Sciortino e La rivale per Marco Taralli.
Sorridendo e divertendo, Rodari non rinuncia a pungenti notazioni sulla nostra società. Per questo, pur conservandoci fedeli alla sua narrazione, abbiamo introdotto qualche dettaglio di ambientazione contemporaneo: e del resto i bersagli dell’ironia di Rodari di mezzi secolo fa sono ancora tutti qui. Infine, il lavoro sul Lamberto mi ha confermato quel che ho sempre pensato: la letteratura “per ragazzi” non è affatto un genere minore o disimpegnato, anzi. E lo stesso vale per l’opera. Non c’è niente di più adulto di ciò che è pensato per chi deve ancora diventarlo”.
Alberto Mattioli
“C’era due volte il Barone Lamberto nasce come gesto d’amore. Portare nel mio mondo, quello dell’opera lirica, il più grande scrittore per infanzia del ‘900, Gianni Rodari, portarlo insieme alla mia terra, alla mia infanzia.
Ed è così che con la mia creatura VoceAllOpera ho deciso di operare come sempre, trasformando questa idea in una occasione meritocratica, indicendo un concorso per compositori lirici, chiedendo aiuto ad uno dei più apprezzati e importanti giornalisti e librettisti di oggi, Alberto Mattioli.
E grazie al preziosissimo aiuto del mio vice e direttore musicale Marco Alibrando, nel 2018 abbiamo dato il via al primo concorso CompositoriAllOpera dove una giuria di altissimo profilo ha decretato vincitore il Maestro Alberto Cara. Da lì una serie di collaborazioni e sinergie, la Civica Orchestra di Fiati di Milano prima e il Teatro Coccia poi ha visto nascere questa importantissima produzione. Lo spettacolo parte dalla massima di Gianni Rodari: "la persona il cui nome resta perennemente pronunciato resta immortale".
Già perché l’essere perennemente nominato fa sì che resti vivo anche il ricordo di te. In questa produzione vorrei fare un omaggio a Orta, alle sue sponde e alla sua isola, vorrei proiettare lo spettatore in quel bellissimo scorcio di mondo incantato che è Orta S. Giulio, portare l’incresparsi delle onde di questo piccolissimo lago sulle tavole del palcoscenico del Teatro Coccia.
Sarà uno spettacolo attuale, moderno, contemporaneo, esattamente come il nostro pubblico”.
Gianmaria Aliverta