Lo spettacolo nasce dall’idea di sovrapporre una narrazione visiva al
programma del Gomalan Brass Quintet, incentrato su alcune delle più note colonne
sonore del cinema statunitense.
Non volendo percorrere didascalicamente la via più ovvia rappresentata dalla
possibilità di rifarsi a situazioni cinematografiche, immagini e luoghi evocati dalle
musiche proposte in concerto, Paolo Cubadda, sulla traccia narrativa nata dalla
sinergia con Emanuela E. Abbadessa, ha realizzato una serie di disegni che hanno lo
scopo di portare il pubblico altrove.
In questo modo, lo spettacolo, attraverso un processo di straniamento, unisce
l’archetipo del viaggio dell’eroe a una sorta di microstoria del cinema e alla sua
mitologia moderna.
Considerando il successo popolare di cui godeva la musica John Williams, nel
1984, il Comitato Olimpico di Los Angeles decise sostituire la fanfara di Bugler’s
Dream di Leo Arnaud (1904-1991) – divenuta ormai sinonimo delle stesse Olimpiadi
– e affidare proprio a Williams la composizione di un nuovo brano da utilizzare
durante i Giochi della XXIII Olimpiade che si sarebbero svolti in quella città tra il 28
luglio e il 12 agosto. Nacque così Olympic Fanfare sulle cui note inizia il breve
viaggio nella storia del cinema di questa sera.
A condurre lo spettatore tra le suggestioni e le pellicole che hanno fatto del
cinema la “settima arte”, è il volto iconico del regista Georges Méliès, considerato il
secondo padre del cinema e autore, tra l’altro, del primo film di fantascienza, Le
voyage dans la Lune del 1902. Méliès, per Cubadda e Abbadessa, veste in questo
caso i panni di un eroe visionario che comincia a immaginare la possibilità di
rappresentare il mondo in movimento.
Dal suo appartamento, circondato da macchine futuristiche, l’eroe scruta
l’orizzonte cercando una chiave che consenta al mondo di rileggere la vita attraverso
le immagini.
Nel suo sogno e grazie a una sorta di orologio del tempo, sulle note di Chicago,
scritte da Kander nel 2002, per il film di Bill Condon basato sull’omonimo musical e
interpretato da Renée Zellweger, Catherine Zeta-Jones e Richard Gere, l’eroe viene
catapultato a Parigi. È il 28 dicembre 1895 e, perdendosi nelle strade della Ville
Lumière, si imbatte in un bambino che insegue un cerchio, in coppie eleganti che
sorseggiano assenzio e locali pieni di gente ben vestita. Giunge dunque davanti al
Grand Café di boulevard des Capucines dove una fila di persone attende di entrare al
Salon Indien per assistere alla proiezione della prima pellicola cinematografica dei
fratelli Lumière. La visione di un treno in corsa riprodotta sullo schermo sconvolge il
pubblico che fugge dal locale lasciando solo l’eroe. Rimasto lì, l’uomo osserva le
pellicole e ne viene inghiottito, ritrovandosi al cospetto dei fotogrammi più
significativi del cinema muto e del primo cinema sonoro: per prima gli appare proprio
l’immagine della grossa luna del suo Voyage, con la navicella spaziale conficcatasi al
centro del suo occhio. Poi, a seguire: la locandina di Cabiria (1914) di Giovanni
Pastrone – le cui musiche furono composte tra gli altri da Ildebrando Pizzetti e la cui
riproduzione del set è possibile vedere oggi al Museo Nazionale del Cinema di
Torino –; Charlot insieme al monello; la carrozzina con il bambino che scende
incontrollata lungo le scale nella drammatica scena de La Corazzata Potëmkin (1925)
di Sergej M. Ejzenštejn; il bacio di Rodolfo Valentino in Sangue e arena (1922) di
Fred Niblo; Clara Calamai nella prima scena di nudo della storia del cinema, in La
cena delle beffe (1942) di Alessandro Blasetti; la donna robot di Metropolis (1927) di
Fritz Lang; un fotogramma di Il gabinetto del dottor Caligari (1920) di Robert
Weine; Louise Brooks in Il vaso di Pandora (1929) di Pabst; Harold Lloyd in Safety
Last! (1923), di Fred C. Newmwyer e Sam Taylor, uscito in Italia col titolo
Preferisco l’ascensore!
Dopo il susseguirsi di visioni, l’eroe, come una sorta di Buster Keaton, si
ritrova imbrigliato tra le pellicole e, accompagnato da Sing sing sing di Louis Prima,
si sposta ancora nel tempo e nello spazio.
Sing Sing Sing (1936) è considerato uno dei pezzi più rappresentativi dello
swing destinato alle big band. Registrato da Louis Prima con la New Orleans Gang e
pubblicato nel 1936 da Brunswick Record, originariamente si intitolava Sing, Bing,
Sing e il riferimento era a Bing Crosby. Il titolo fu mutato per consentirgli una
collocazione più ampia e non legata a un singolo artista.
Il viaggio ha così portato l’eroe a Hollywood, mecca del cinema, dove, sul
tema de I predatori dell’arca perduta (Steven Spielberg, 1981), si ritrova palleggiato
da un’avventura all’altra: appeso alle liane di Tarzan, a volare su un ponte tibetano, in
Egitto su una piramide, coinvolto in un duello, su una diligenza inseguita dai
pellerossa, nel boudoir di Cleopatra dove l’eroe coglie i frutti offerti dalla regina e
viene sbalzato sul set del film King Kong (John Guillermin, 1976, remake
dell’omonima pellicola del 1933 di Ernest B. Schoedsack). Lì, interrompendo le
riprese, provoca l’ira del regista e viene trasportato a Cinecittà da dove fugge a bordo
di una Vespa guidata da una comparsa in abiti da legionario.
Sulle note del tema di Star Wars (George Lucas, 1977), si ritrova a Los
Angeles durante la serata di gala degli Oscar. È qui che, tra lusso sfrenato, star e
produttori, circondato dal fanatismo del pubblico, l’eroe pensa che il cinema stia
tradendo la sua missione, confondendo il personaggio (simboleggiato dalla maschera)
con la persona e il profitto con l’arte. Per scappare da tutto questo, agguanta una
pellicola e ripercorre con la mente le scene del cinema neorealista che hanno invece
messo al centro l’uomo: dalla morte di Pina/Anna Magnani in Roma città aperta
(Roberto Rossellini, 1945) a Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948), fino al
fiducioso volo in groppa alla scopa di Miracolo a Milano (Vittorio De Sica, 1951), la
cui immagina si sovrappone al volo in bicicletta di Elliot e l’extraterreste E.T. nel
celebre film di Spielberg del 1982. Con un ultimo omaggio alla fantasia e
all’inventiva, la tappa si conclude con un fotogramma tratto da La strada (1954) di
Federico Fellini: qui l’eroe sonnecchia nei panni di Zampanò, mentre Gelsomina
(Giulietta Masina), veglia su di lui.
Come le musiche di Schindler’s List (Spielberg, 1993) suggeriscono, questo
momento è quello in cui l’eroe si ferma a riflettere a cosa abbia portato il cinema. Si
sente smarrito e ha perso le coordinate del suo girovagare. Così, tutto gli appare
diverso e le immagini che rievoca, sono drammatiche e si confondono con quelle
della Nouvelle Vague. Egli si trova idealmente in una sorta di aldilà dove,
inaspettatamente, gli appare il volto bellissimo e struccato di Marylin Monroe,
restituita alla sua individualità come Norma Jeane Baker.
Sul viso dell’eroe si apre così la speranza rappresentata da due icastici
fotogrammi tratti da À bout de souffle (Jean-Luc Godard, 1960) e Jules e Jim
(François Truffaut, 1962).
Le note di Swings!, tratte dalla sfortunata pellicola 1941 Allarme a Hollywood
(Spielberg, 1979) con John Belushi e Dan Ayckroyd (che l’anno successivo
avrebbero trionfato nel cult movie The Blues Brothers di John Landis), del film
colgono l’aspetto di divertissement che Williams mantenne in tutta la sua
spumeggiante partitura, privilegiando un sinfonismo pieno e in grado di rievocare gli
antichi fasti delle colonne sonore nate tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta negli
Studios.
L’eroe ha navigato quindi fin verso la modernità che si squaderna davanti a lui
come una speranza di futuro migliore sul pot-pourri musicale proposto dal Gomalan
Brass Quintett e arrangiato da Marco Pierobon, che, a partire da celeberrimo tema del
poema sinfonico di Richard Strauss Also sprach Zarathustra, op. 30 (1896), utilizzato
da Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio (1968), mette insieme le più note
colonne sonore del cinema di fantascienza.
Emanuela E. Abbadessa