immagine Ernani

CHI HA PAURA DEL MELODRAMMA?

Musica di Federico Gon
Soggetto e libretto Stefano Valanzuolo
Direttore d’orchestra Margherita Colombo
Regia Alberto Jona

Bruno, un allenatore Semyon Basalaev (Accademia AMO)
Dino, un portiere in serie A Yuxiang Liu (Accademia AMO)
Maria, la ragazza di Dino Yo Otahara (Accademia AMO)
Ale, un giovane portiere Francesco Califano (Allievo attore della scuola del Teatro Musicale)
Nelson, un giovane bullo Francesco Iorio (Allievo attore della scuola del Teatro Musicale)
Attore Leonardo Pesucci
Coro e comparse Allievi Attori della Scuola del Teatro Musicale

Scene e costumi Matteo Capobianco
Disegno luci Alberto Jona e Ivan Pastrovicchio
Ensemble del Teatro Coccia

Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara di Novara in collaborazione con STM – Scuola del Teatro Musicale

Opera
Dai 6 ai 13 anni


L’incasso della recita di Domenica sarà devoluto al Fondo Emergenza Ucraina, costituito presso la Fondazione Comunità Novarese onlus che nasce per raccogliere donazioni a sostegno dell’accoglienza, sul territorio della provincia di Novara, dei profughi di guerra.

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“Un bullo in maschera”: il titolo allude al repertorio operistico classico ma i toni presi in considerazione sono decisamente più moderni e, all’occorrenza, informali. La storia rimanda alla trattazione di un argomento molto delicato e attuale, quello del bullismo, che tocca da vicino l’universo infantile e adolescenziale. Un tema, questo, che ha ricevuto finalmente attenzione specifica in epoca recente. Qui lo si affronta in un’ottica totalmente nuova, musicale, destinate a risultare leggera nella forma, ma non per questo superficiale. Svelare al pubblico dei più giovani il mondo dell’opera, con il suo codice privilegiato, le sue irrinunciabili convenzioni e i suoi piccoli riti. Questo è la mission alla base del progetto denominato “Un bullo in maschera”. Il titolo allude, con toni da parodia, al repertorio operistico classico ma i toni presi in considerazione, pur nel rispetto di un linguaggio nobilmente riconoscibile, sono decisamente più moderni e, all’occorrenza, informali. La storia, innanzitutto, rimanda alla trattazione di un argomento molto delicato e scabrosamente attuale, quello del bullismo, che tocca da vicino l’universo infantile e adolescenziale. Un tema, questo, che ha ricevuto finalmente attenzione specifica in epoca recente, il che rende plausibile il tentativo di rilanciarne l’analisi anche in un’ottica totalmente nuova, specificamente musicale, destinate a risultare leggera nella forma, ma non per questo superficiale.

Alcuni ragazzi stanno prendendo le misure per delimitare il campo da gioco.
Dispongono gli zaini per terra, disegnando le due porte, poi cominciano a formare le squadre, ma lasciano in disparte uno del gruppo. È Ale, che si lamenta della sua perenne condizione di riserva. Quando, però, l’improvviso infortunio di uno dei portieri lo fa rientrare in gioco, Ale inciampa goffamente sugli zaini e incassa un clamoroso goal: tutti lo prendono in giro...
Una compagnia di artisti di strada, che poco distante sta montando il palco per un piccolo spettacolo di suoni e luci, assiste alla scena. Uno degli attori si avvicina ai ragazzi per raccontargli cosa fosse capitato a lui da piccolo, all’epoca in cui si divertiva a fare il portiere e sognava di diventare un campione. La sua storia assomiglia a quella di Ale. Eppure, l’intervento non basta a frenare gli stupidi atti di bullismo nei confronti del portierino. Così, gli attori si cambiano d’abito e decidono di raccontare ai ragazzi una storia vera e propria, mettendo in scena una piccolissima opera musicale in cui, per una volta, si parlerà di calcio.
Inizia così la rappresentazione de “Il bullo in maschera”. I piccoli calciatori, abbandonando per un po’ palloni e porte, si dispongono tutt’intorno agli attori, seduti a terra, per assistere all’improvvisata performance della compagnia di strada. E noi con loro…

Se l’argomento al centro della storia, dunque, spicca per attualità, ancor più originale sembra essere il contesto all’interno del quale la vicenda viene calata dagli autori. “Un bullo in maschera” è, infatti, la prima opera lirica ambientata nel mondo del calcio.. La miscela originale e inedita di sport, musica e indagine sociale tocca in via diretta la sensibilità degli spettatori più giovani, ma non solo.
Un gioco, insomma; ecco come va considerato “Un bullo in maschera”. Un divertissement, certo, che parla di cose serissime ma si propone di farlo senza inutili appesantimenti, confondendo gli schemi dell’opera con quelli affascinanti del calcio.

La trama del “Bullo”, semplicissima, si snoda attraverso due piani narrativi.
Quello del presente, ossia della realtà, rimanda alle vicende di un gruppo di aspiranti calciatori, sospesi tra la voglia di successo, incomprensioni, eccessi e successi accarezzati. Quello della finzione, ossia del racconto, invece chiama in causa una compagnia di attori-cantanti, chiamati a mettere in scena la favola del calcio, per coinvolgere e infine sorprendere un gruppo di giovanissimi campioni, spegnendo qualsiasi velleità di bullismo nelle gioie del gioco più bello del mondo. Ci sono tutti i personaggi del melodramma classico, ma ognuno di loro viene ridisegnato, qui, per assomigliare quanto più possibile, in fondo, ai protagonisti di oggi. Come a ribadire che l’opera lirica non è terreno esclusivo di dei ed eroi, ma semplicemente parla di ciò che ci stia a cuore.

Alle novità sostanziali, rappresentate dalla scelta del tema e del contesto (il bullismo, il mondo del calcio), se ne aggiunge un’altra importante, soprattutto formale: “Un bullo in maschera”, infatti, si presenta come opera interattiva, al cui svolgimento, cioè, il pubblico viene invitato a contribuire in modo decisivo, scegliendo tra le ipotesi possibili e alternative messe a disposizione dalla struttura del libretto. E la storia del “Bullo”, alla fine, resta un bel pretesto per mostrare al pubblico come in musica si possa trattare ogni argomento, fin anche quello più delicato, col tocco lieve e serio chi sappia giocare.
di Alberto Jona
Un bullo in maschera di Federico Gon e Stefano Valanzuolo interseca una pluralità di temi in modo stimolante e affascinante: da una parte contemporanei, il calcio, il cinema e il bullismo, che purtroppo ben conosciamo, dall'altra il melodramma, non immediatamente facile per un pubblico giovane, perché non vi è abitudine di frequentare questo genere, il suo codice e il suo mondo narrativo.
L'opera è una sorta di romanzo di formazione, un racconto che un adulto, ormai affermato allenatore di calcio, fa a due giovani, un bulletto e un bullizzato, per portarli alla consapevolezza di sé. Un inizio nel presente in un campetto da calcio quasi improvvisato dove un gruppo di adolescenti organizza una partita ed esclude e bullizza un compagno, e un tempo passato, che è quello del racconto esemplare, che porta alla presa di coscienza. Molti gli stimoli che il testo e la partitura propongono: da una parte il gioco scenico del flash back, dall'altra i codici del melodramma e del calcio.
In un'opera contemporanea che debutta credo che si debba rispettare le indicazioni del librettista e del compositore, lo spazio e il tempo. Diverso e più complesso è il rapporto con il repertorio operistico tradizionale, che il pubblico già conosce, in cui il regista può permettersi una lettura più personale, un approccio meno canonico per rileggere un'opera, un personaggio o una vicenda. In una prima assoluta contemporanea credo invece che il dovere del regista sia di essere al servizio della composizione e dell'opera nella sua totalità, per restituire al meglio il pensiero del compositore e del librettista, condividendo le scelte con loro.
Lo spazio scenico ha per me una fortissima valenza narrativa, per cui abbiamo immaginato con lo scenografo Matteo Capobianco, una struttura girevole che provi a visualizzare scenicamente lo scorrere del tempo così importante nell'opera. La scena girevole rappresenta due momenti temporali diversi con un gioco di colori, sgargianti per il presente, e in qualche modo sbiaditi per il passato (come le foto analogiche degli anni '80).
Molte le tecniche cinematografiche che ho pensato di proporre, reinventate teatralmente, dal rallenti al piano sequenza, dall'uso della moviola al gioco cromatico, grazie agli stimoli stessi del libretto di Valanzuolo che, come in Sliding doors, propone di ribaltare determinate situazioni e immaginare altri possibili sviluppi della vicenda narrata.
Stessa cosa per il codice scenico che da una parte utilizzerà una gestualità naturalistica contemporanea e dall'altra, nel momento in cui si entra nella stilizzazione del melodramma, la gestualità scenica tipica dell'opera.
Infine per mettere in scena il calcio ho pensato a una stilizzazione anti-naturalistica che racconti lo sport in modo inaspettato senza “gareggiare” mai con cinema e televisione.
L'opera di Gon e Valanzuolo è anche un tuffo divertito nel mondo del melodramma, nel suo codice, nei suoi vezzi. Una scommessa per avvicinare l'opera ai ragazzi utilizzando un linguaggio divertente, colto e ricco di citazioni musicali e testuali, che verranno esplicitate attraverso l'ingresso in scena dei personaggi evocati musicalmente, Violetta Valery, Filippo II, Tosca, Rigoletto, Orfeo...
Un bullo in maschera è per me una scommessa entusiasmante in cui i diversi linguaggi teatrali si combinano e dialogano per divertire ma insieme far rifletter il pubblico giovane, e non solo.
di Matteo Capobianco
Un bullo in maschera di Federico Gon e Stefano Valanzuolo si sviluppa su un doppio piano temporale, presente e passato.
A tal proposito con la scenografia si vuole rappresentare tale meccanismo narrativo. Lo scorrere del tempo verrà tradotto nello spazio scenico mediante una grande struttura girevole. La rotazione antioraria ci riporterà nel vissuto, quella oraria ci porterà nel qui e ora, rendendo possibile continui salti temporali.
Sulla struttura vedremo da un lato rappresentata la piazza di un paese ipotetico dove i ragazzi stanno giocando, così com'è ai giorni nostri, la stessa ruotando di 180° ci porterà nello stesso luogo, ma indietro nel tempo.
Gli edifici, resi con effetti prospettici e in scala leggermente ridotta, saranno una serie di case e palazzi alberi e altri elementi urbani, in grado di trasformarsi in altri elementi differenti, aprirsi per svelare contenuti, elementi di scena e creare passaggi.
La stessa architettura la ritroveremo sull'altro lato, quello dedicato al passato, ma con un gioco di similitudine e differenze, ad esempio un grande albero sarà un alberello, al posto di un edificio moderno troveremo una vecchia abitazione etc.
Ciò che si svolge in proscenio fino in sala invece sarà il nostro immaginifico campo da calcio, alcuni personaggi sfonderanno la quarta parete, interagendo direttamente dalla sala con il palco, attraverso un passaggio a lato della buca d'orchestra, creando uno sviluppo verticale della scena e favorendo l'interazione con il pubblico, coinvolto in prima persona nella storia.
La differenza spazio-temporale sarà sottolineata anche con un gioco cromatico, sia per la scenografia che per i costumi, sgargianti per il presente, e in qualche modo sbiaditi in tinte pastello desaturate, per il passato (come le foto analogiche degli anni '80).